Farsetti contraffatti da sarti poco onesti non erano rari nel 15 secolo in Italia.

Una rubrica degli statuti della Corporazione dei Sarti di Reggio Emilia del 15 secolo ci conferma che già all’epoca erano presenti alcune contraffazioni nella confezione dei farsetti.

Una norma al suo interno stabiliva infatti che sarti e “strazzaroli” dovessero dichiarare con onestà la qualità di imbottitura presente nei farsetti da questi confezionati e venduti.

Lo stesso statuto indica che l’imbottitura del farsetto doveva essere realizzata con “bambace buono et nuovo” e non con “bambace vecchio et puro” o ancor peggio con “guarzatura pura”.

La guarzatura era un materiale di scarsa qualità che si ricavava nella fase della cardatura del cotone con le fibre rotte e corte miste ad impurità che si fermavano tra i denti dello scardasso.

I sarti scoperti a vendere farsetti imbottiti di bambace vecchio oppure di guarzatura avrebbero dovuto restituire i soldi al cliente e portare il farsetto malfatto all’arte.

Una norma simile si trova anche negli statuti (mariegole) quattrocenteschi della corporazione di Venezia.

La norma specifica che “i fasettai ne maschi ne femmine” non potevano mischiare “panni” nuovi con quelli vecchi,  precisando anche che il cotone da imbottitura (banbacio) non potesse essere mischiato con la “garçatura” (guarzatura).

La frase “ne maschi ne femmine” ci indica che il mestiere del sarto come altri mestieri non era a solo ad appannaggio del genere maschile, ma diffuso anche tra le donne.