Nel XIII secolo Forlì esce dall'anonimato storico per indossare, in questo tormentato periodo di lotte civili e religiose, quasi i panni della protagonista. Il periodo fa registrare continui scontri con le vicine città guelfe, in modo particolare Faenza e Bologna.

Due avvenimenti sono rimarchevoli: nel 1241 i Forlivesi fornirono il loro leale appoggio al grande imperatore Federico II nella presa di Faenza e ne ricevettero, in segno di riconoscenza, la facoltà di adornare lo stemma della città con l'aquila sveva, il che portò necessariamente in secondo piano l'antica insegna: scudo vermiglio crociato di bianco; anche altri privilegi ebbe il Comune forlivese dall'Imperatore, quali il diritto di coniare moneta e che i suoi senatori potessero indossare la toga di porpora foderata di ermellino.

Intanto, nel giro di poco più di vent'anni, le fortune della Casa di Svevia erano precipitate e il più solerte e fedele luogotenente che gli Imperatori avessero in Italia, Guido da Montefeltro , era stato costretto a riparare a Forlì, ultima roccaforte del Ghibellinismo, dove fu pregato di assumere la carica di Capitano del Popolo.

In questa veste egli condusse ripetutamente il suo esercito (del quale facevano parte anche molti fuoriusciti, esuli o banditi) di vittoria in vittoria; fra le più sfolgoranti, quella riportata contro i Bolognesi al Ponte di San Procolo ( 15 giugno 1275 ), tra Faenza e Imola; quella di Civitella ( 14 novembre 1276 ) contro una coalizione guelfa cui s'erano aggiunti anche i Fiorentini; infine l'impresa più sensazionale, la Battaglia di Forlì, nel Calendimaggio 1282. In questa circostanza, oltre al valore, rifulse anche la sagacia tattica del nobile feltrano, che in uno scontro cruentissimo sbaragliò i nemici (il fior fiore dell'esercito francese inviato dal Papa Martino IV a sottomettere la ribelle città romagnola) guadagnando per Forlì la celebre citazione dantesca "la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno XXVI, 43-44).

Lo smacco per il Pontefice transalpino fu cocente e l'anno dopo, sostituito il capitano battuto Giovanni d'Appia, con Guido di Monforte ottenne - senza che vi fosse battaglia, ma con terribili minacce di ritorsione ad una popolazione esausta - dal Senato forlivese la resa a discrezione, mentre Guido da Montefeltro, sentendosi tradito, abbandonava la città coi suoi fedeli.

Dopo l'abbandono della città da parte di Guido da Montefeltro seguono alterne vicende, per le quali, cacciato il Legato Pontificio e risolta con scaramucce interne la questione della supremazia, salgono al potere gli Ordelaffi che terranno la città per quasi due secoli.

Fra i più notevoli esponenti di questa famiglia, che taluno vuole di origine germanica, altri veneta, citiamo Scarpetta III, che offrì rifugio a Dante quando il poeta riparò a Forlì per qualche tempo ( 1303 ) e Francesco il Grande che lottò contro Egidio Albornoz, il Cardinale inviato a capo di un potentissimo esercito per sottoporre la Romagna al Papato per l'ennesima volta.

L'Ordelaffi fu sconfitto ( 4 luglio 1359), ma gli annali ci hanno tramandato il ricordo del suo valore e di quello della sua intrepida sposa (Marzia degli Ubaldini) alla quale aveva affidato la difesa di Cesena.

Il più famoso di tutti fu però Pino III, che tenne saldamente la Signoria di Forlì dal 1466 al 1480. Nel bene e nel male, Pino fu un uomo del suo tempo: magnificenza e bassezza, crudeltà e magnanimità contraddistinsero il suo regno.

Sotto Pino III la città si abbellì di edifici e monumenti, si fortificò con il completamento delle mura perimetrali e di radicali lavori alla Rocca di Ravaldino, le arti prosperarono e i forlivesi, come sudditi, -vissero un periodo di "pace illuminata".

Scomparso Pino, appena quarantaquattrenne (non senza qualche sospetto di avvelenamento) la situazione a Forlì precipitò: nel giro di pochi mesi la Signoria, passata attraverso un vorticoso girotondo nelle mani di vari Ordelaffi, venne reclamata dal Papa Sisto IV per un suo congiunto, che oltre alla parentela col Pontefice non possedeva purtroppo alcuna altra qualità di rilievo.

O meglio, senza alcun suo merito, questo Girolamo Riario aveva quella di essere il marito di Caterina Sforza , al cui nome sono legati gli ultimi sussulti di originalità storica della città di Forlì.

Tre mariti: Girolamo RiarioJacopo Feo (sposato in segreto),Giovanni De' Medici ; madre di una decina di figli, Caterina fu la padrona indiscussa di Forlì, degna in tutto di succedere a Pino Ordelaffi.

Anche il regno di costei ebbe tuttavia modesta durata, brutalmente travolto nel grande disegno egemonico di Cesare Borgia, come le tante altre piccole Signorie feudali e le cittadine minori dello Stato della Chiesa (gennaio 1500).

Tramontata improvvisamente la stella del Borgia e dopo un effimero ritorno degli Ordelaffi (1503-1504) Forlì fu incorporata nello Stato Pontificio su deciso volere di Giulio II della Rovere , e così terminò di fatto ogni sua autonomia.