Niccolò da Verona, forse Nicolo Motagnia da Verona, Uomo d’Arme al servizio di Francesco Sforza, era una figura di una certa importanza tanto che lo stesso Sforza lo definisce in alcune missive tra i “nostri homini d'arme” e lo fornisce di una “zornea de veluto alla divisa nostra”, titolo e simboli solitamente riservati ai più stretti uomini d’arme ducali.

Niccolò da Verona risulta essere a comando di uomini nel lodigiano, in particolare nella zona tra Pandino e Vailate, area con una intensa attività militare al confine con Venezia.

Le prime notizie di questo personaggio ci arrivano da una missiva del luogotenente di Lodi indirizzata a Francesco Sforza, in questa missiva di fine Gennaio 1452 si indica l’arresto di Niccolò per aver “procurato danno” ad una giovane donna di Pandino che lui voleva prender per moglie.

Seguono altre missive che ci raccontano questa travagliata vicenda: Niccolò viene prima arrestato ma riesce a fuggire, pare a dorso di mulo, nel frattempo lo stesso Sforza richiede ai suoi uomini che tutti i suoi averi vengano requisiti perché lui non ne potesse disporre.

Niccolò in un primo momento invia una missiva chiedendo perdono allo stesso Sforza che però lo ammonisce pesantemente rifiutando la supplica “Le quale casone ce fano retrogradi ad doverte perdonare”. (5 febbraio 1452)
Vedutosi alle strette Niccolò tenta il tutto per tutto recandosi al cospetto del Duca stesso, dopo questo suo atto di sottomissione “et reductosi in colpa et pentito de ogni suo fallo”, lo Sforza rivede la sua posizione, richiedendo al luogotenente di Lodi che “gli sia restituito tucto quello li fosse stato retenuto”. (12 febbraio 1452)

In poco meno di due settimane era stato risolto un “facto de tale excesso”.

Qualcosa però si deve essere rotto nel rapporto tra il suo “homo d’arme” e il suo Duca, tanto che, dopo poco più di un mese, Niccolò cerca di passare al soldo veneziano, viene però arrestato dal podestà di Soncino per ordine del Duca stesso forse avvisato del tradimento da spie all’interno delle fila veneziane: “Nuy siamo avisati dal canto de Veneciani da persona dignessima de fede”. (23 aprile 1452)

Il Duca memore della precedente fuga ordina al podestà “tu lo metti in quella rocha de Pandino in presone cum uno par de ferri alli pedi et farali fare tale et sì facta guardia de dì et de nocte ad ogni hora che luy per modo alchuno non se ne possa fugire”.

Viene inoltre ordinato allo stesso podestà “de havere in toa possanza tutti li cavalli, arme, robbe et ogni altra cosa del dicto Nicolò et del tutto faray una scripta de inventario de cadauna cosa da per sì che non gli manchi niente”,di trattenere e fare un inventario di tutti i beni del carcerato.

Qui di seguito l’inventario con alcune annotazioni dell'autore.
Paro uno de ceste vode,
carnero uno da sella,
berreta una rosa da tenire in capo de nocte,
perponta una da lecto frusta, (frusta=logora)
paro uno de linzoli frusti,
elmeti duy con fornimenti de ramo et penazi et sue bavere, (fornimenti de ramo=decorazioni in rame)
lanze II depente,
celate IIII,
coraze III,
para sexa de schinere,
para IIII de arnesi,
para III de brazali,
para IIII de guanti,
para III de spalaroli,
spada una con paro uno de speroni,
testera una da cavalo d azale,
paro uno de bolze, (borse da sella)
paro uno de stivali,
paga una de vino,
corde III da soma,
sacho uno roto,
paro uno de fianchali con la falda,
pancere II,
caldarello uno da campo, (dovrebbe essere una pentola)
sedella una de ramo, (sedia)
canestrello uno,
scudella una de peltro,
scudelino uno de peltro,
para III de barde, tra le quale gli è una senza pectorale,
selle VIII,
brillie VIII,
cavalo uno sasinato,
cavalo uno bayo scuro chiamato Capriolo,
cavalo uno bayo scuro grande,
cavali ii moreli,
cavali ii bay,
frassata una (coperta pesante spesso usata per coprire i cavalli).

E che fine ha fatto il nostro Niccolò?

Viene condannato all’impiccagione, da come arriveremo all'esecuzione della pena capiamo che non si tratta di un uomo d’arme qualunque.

All’epoca le condanne di impiccagione erano pressoché immediate, in questo caso invece vediamo da parte del Duca diversi tentennamenti che ne ritardano l’esecuzione di oltre un mese. In un primo tempo si tratta per la sua scarcerazione che potrà avvenire solo con una garanzia di 500 ducati e il giuramento di fedeltà “de stare ali servitii nostri et servirne fidelmente”. (26 aprile 1452)

Fallita la trattativa, il Duca indica al podestà di Pandino di consegnare il detenuto al famiglio ducale Bartolomeo d’Ancona.

Lo stesso Bartolomeo d’Ancona riceve l’ordine di ritirare il prigioniero con una scorta piuttosto corposa per un semplice condannato, vengono infatti impegnati ben “XXV balestreri” per condurlo a Lodi da Pietro da Norcia luogotenente della città dove verrà eseguita la pena. (6 maggio 1452)

L’ultima missiva referente a Niccolò da Verona è del 9 maggio e dal suo contenuto possiamo presumere che la pena abbia avuto luogo. In questa ultima missiva il Duca chiede di consegnare al galuppo Ruoltino “quella zornea de veluto alla divisa nostra et lo zuparelo de velluto che era de Nicolò da Verona”, gli ultimi simboli di un uomo d’arme caduto in disgrazia.

Attraverso questa ricerca all’interno delle missive sforzesche abbiamo ottenuto non solo l’inventario dell’equipaggiamento di un uomo d’arme ma anche uno spaccato di storia e giustizia militare al tempo del Duca Francesco Sforza.