Come per quello maschile, gli indumenti venivano divisi in “Robe per di sotto” e “Robe per di sopra”.
Tra le robe per di sotto troviamo: camicie, guarnelli, gamurre e cotte.
Anche per le donne la camicia è il primo indumento indossato direttamente sulla pelle. E’ lunga e talvolta larghissima, confezionata con tele pregiate, d’Olanda, di Reims, di Cambrai, di bisso di lino; ha maniche lunghe e larghe.
Nei corredi di donne appartenenti a classi sociali elevate verso la fine del secolo vengono nominate camicie ornate di ricami colorati di seta e d’oro, neri o colorati; nel corredo di Bianca Maria Sforza (1493) vi sono elencate un centinaio di camicie tra cui: “Camisia una tele cambraie cum manicis latis usque ad terram, cum ornamentis factis ad nexum de auro et sirico viridi”, ossia; una di tela di Cambrai con grandi maniche lunghe guarnita di rete d’oro e di seta verde, venticinque di tela di reno ornate di ricami di seta nera, quindici con pizzi di filo(Biblioteca Nazionale di Parigi, Fondo Italiano in A. Ceruti, Il corredo Nuziale di Bianca Maria Sforza cit., p. 68 e p.70).
Nell’ultimo decennio del secolo incomincia ad incresparsi attorno al collo e alle maniche formando una piccola rouches che separata in seguito dall’indumento diventerà nel secolo successivo la gorgiera; tuttavia nel già citato corredo di Bianca Maria Sforza si elencano sei gorgiere di velo turchino, o nero ricamate d’oro e d’argento, e cinque di zendale cremisi, verde o cangiante con ricami e ornamenti d’oro.
Gamurra
Sulla camicia veniva indossata la Gamurra, una veste corrente usata per uscire di casa quasi mai senza sopravveste. Per il ceto medio è semplice, di lana per lo più sfoderata, di colore scuro, morello o paonazzo. Gamurra, Camurra, Camora viene chiamata in Toscana, mentre nell’Italia settentrionale la troviamo sotto il nome di Socha, Zupa o Zipa.
E’ ampia, aperta davanti e chiusa da file di bottoni o con cordicelle di seta finite all’estremità con puntali metallici a volte d’oro o d’argento, gli Aghetti o Agugelli. Queste cordicelle venivano infilate in lunghe file di occhielli o nelle Maiette o Magliette, ossia anellini metallici cuciti sugli occhielli o in sostituzione di essi, come ci mostrano i presunti ritratti di Simonetta Cattaneo Vespucci e di Ginevra Benci. Marco Parenti ne acquista per la cotta di sua moglie Caterina Strozzi 120 tonde per dinanzi e100 piccole per le maniche oltre a nastri, cordelle e agugelli; le maniche sono spesso staccate.
Nell’ultimo quarto del secolo la moda di far vedere la camicia dalle Finestrelle (graziosi tagli sulle maniche) induce a indossare la Gamurra senza alcuna sopravveste. Le finestrelle nascono probabilmente dalla necessità di dare maggior agio ai movimenti delle braccia, data l’eccessiva aderenza delle maniche, le quali sono appunto tagliate all’attaccatura della spalla e dal polso al gomito dove altrimenti si strapperebbero.
La Gamurra portata in vista assume maggior valore; le maniche sono quasi sempre di colore e tessuto diverso da quello della veste, ricamate e decorate con perle arrivano a costare più della veste stessa. Una sola manica donata da Ludovico il Moro a Bona di Savoia (per risarcirla forse dell’usurpazione della tutela del figlio) con l’impresa della fenice in “balassi, diamanti e perle” fu valutata 18.000 ducati.
Anche per le donne la camicia è il primo indumento indossato direttamente sulla pelle. E’ lunga e talvolta larghissima, confezionata con tele pregiate, d’Olanda, di Reims, di Cambrai, di bisso di lino; ha maniche lunghe e larghe.
Cotta
Simile alla Gamurra è la Cotta. Sul piano sartoriale i due indumenti non presentano grosse differenze ma la cotta è un capo estivo, confezionata con tessuti leggeri, seta e broccati, di colore chiaro; anche in questo caso le maniche sono diverse dall’abito. Una legge suntuaria fiorentina del 1462 permette che si guarniscano con frange. Scorrendo gli inventari del corredo di Nannina de Medici vi troviamo una Cotta sfarzosissima di damaschino bianco broccato d’oro, Lucrezia Tornabuoni ne aveva una di altobasso cremisi con le maniche di broccato d’oro.
Per confezionare una Cotta occorrevano circa 18 braccia di stoffa. La Cotta si indossava sopra la camicia e sotto la Giornea ma nei mesi più caldi la si poteva portare da sola, come testimonia una lettera di Alessandra Macinghi Strozzi al figlio Filippo dove scrive riguardo alla sua giovane moglie Fiammetta Adimari “...ch’ella vorrebbe farsi una giornea di saia nera melanese per questo San Giovanni e invero, ella n’ha bisogno, che non è tempo di portar le cioppe ,e poi potrà portar la cotta...”( cioè in Luglio e Agosto).
Giornea
Quando si va verso l’estate l’abbigliamento si basa sul binomio cotta-Giornea. La Giornea è una sopravveste di origine militare adottata nel XVsecolo anche da donne, è smanicata e aperta sui fianchi, e in qualche caso anche davanti. Confezionata con ricche stoffe, a volte veniva foderata di pelliccia, in tal caso si prestava ad essere indossata anche d’inverno. Ne “Les collection de Médicis au XV siècle”(4) vi è descritta una giornea di Lucrezia Tornabuoni di broccato d’oro foderata di ermellino.
Queste sopravvesti a causa della loro ampiezza e dei tessuti preziosi con cui venivano realizzate erano molto costose. Una legge suntuaria veneziana del 1445 vietava che venissero fatte in panno d’oro e d’argento ma anche in velluto alto e basso e di qualsiasi altro tessuto di seta. Per una Giornea di Caterina Strozzi ci vollero 24 braccia e mezzo di tessuto, lo annota il marito Marco Parenti nel suo libro dei conti. Doveva amare molto la moglie, considerando le cifre che spendeva per abiti e regali. Considerando che si tratta di una veste senza maniche e che per una cotta ne bastavano 18 questa informazione rende l’idea delle maestosità delle giornee. Bellissimi esempi di cotte e giornee ci vengono offerti dai dipinti del Ghirlandaio e di Piero della Francesca.
Pellanda
Una sopravveste invernale era invece la Pellanda, così veniva chiamata nell’Italia settentrionale, mentre a Bologna la troviamo come Veste o Sacco e Cioppa in Toscana. La Pellanda o Cioppa colpisce per l’imponenza della linea e dei ricchi ornamenti: ha una linea fluente e maestosa che aderisce al seno e si allarga, allungandosi nello strascico. L’ampiezza della veste viene raccolta in pieghe o in cannelli da una cintura posta un poco più in alto della vita. Potevano essere foderate o bordate di pelliccia e decorate con affrappature, liste, galloni e perle attorno allo scollo, lungo i bordi, all’orlo e ai polsi. Le maniche erano lunghe e ampie nell’Italia settentrionale, più strette in Toscana. Uno statuto pistoiese del 1420 limitava a 5 braccia l’ampiezza delle maniche e a 12 quella dell’orlo, mentre una legge suntuaria fiorentina emanata nel 1464 limitava la lunghezza dello strascico a un braccio e mezzo. Come per quelle maschili, nella seconda metà del secolo le pellande vennero sostituite dalla roba.
Guarnello
Elencati tra la biancheria oltre alle camicie, le mutande, le calze e gli asciugatoi, gli scossali (grembiuli), troviamo il Guarnello. E’ una veste semplice, indossata maggiormente dai ceti popolari ma anche come veste da casa dalle giovani borghesi. E’ probabile che prendesse il nome dal tessuto con cui veniva confezionata appunto il guarnello di cotone ma se ne confezionavano anche di lino, canapa e lana, quasi sempre di colore bianco; tuttavia in alcuni inventari riminesi ne vengono menzionati di pignolato azzurro, e berrettino (di colore grigio cinereo) Si presentavano sia con maniche (piuttosto rari) che smanicati. Chiusi davanti con file di occhielli tondi in cui veniva passata una cordicella come per la gamurra e la cotta. Sovente per lavorare veniva tirato su e arrotolato alla cintura per agevolare il passo.
Calze e Mutande
Le Calze di solito erano di panno bianco o rosso, ma in alcuni inventari di donne di elevata estrazione sociale se ne citano di seta ricamate. Anche le calze femminili venivano tagliate in un pezzo unico con una sola cucitura nel centro dietro. Oggi per ricostruire un paio di calze sia maschili che femminili si tagliano sullo sbieco del tessuto per avere maggior elasticità, purtroppo non sappiamo se questa tecnica venisse usata anche in passato.
Un raffinato complemento delle calze erano i Corregini, presumibilmente nastri di seta o velluto antenati della giarrettiera. Nel corredo di Drusiana Sforza vi sono “Nastri di velluto forniti d’argento per ligare le calze”; mentre le calze comuni venivano usate anche dal popolo, le calze solate erano considerate un lusso signorile; una legge fiorentina del 1464 ne proibiva l’uso alle balie e alle fantesche.
Neppure le Mutande erano del tutto sconosciute nell’uso femminile, per quanto affermino il contrario gli autori di troppo rapide scorribande nel campo della storia del costume.(5) E ’vero che iconograficamente non sono documentate mutande femminili, dobbiamo comunque tener conto che quelle maschili le vediamo su chi teneva le calze slacciate lasciandole ricadere a campana per lavorare, contadini muratori... oppure in contesti di crocifissioni o martiri vari. Tenendo conto che le donne, anche se rialzavano il Guarnello per lavorare, sotto indossavano camicie lunghe e che nelle rappresentazioni dei martiri sono per lo più vestite, o completamente nude risulta molto difficile vedere le mutande. Un ricco esemplare di bisso con ricami è stato trovato in Sicilia(6). L’affermazione che le donne non usassero le mutande pare alquanto azzardata.
Copricapo
Curiosi copricapo compaiono all’inizio del secolo sul capo delle donne. Acconciature con due lunghe corna a forma di coni che le fanno sembrare una sella rovesciata, vengono chiamate appunto a Sella, oppure l’Hennin, un alto cono con un velo a volte inamidato a volte morbido che dalla punta ricade libero.
La fronte era resa spaziosa mediante la depilazione. Questi copricapo erano però di origine francese e fiamminga, venivano infatti chiamati “alla di là”, alludendo alla loro origine oltremontana.
Tipicamente italiano è invece il Balzo di forma rotondeggiante, è formato da tessuti preziosi avvolti su di un intelaiatura rigida. La stessa forma tondeggiante del balzo la ritroviamo nelle ghirlande, decorate con piume di pavone, fiori e foglie d’oro e d’argento, perle o gioielli. I copricapo più comuni erano comunque le cuffie, le berrette e gli asciugatoi. Le cuffie più semplici erano di lino bianco, come in alcune figure del Ghirlandaio; le più ricche, di tessuti preziosi arricchite di ricami d’oro.
Semplice e sobrio è l’Asciugatoio, di lino bianco, o listato con liste o ricami blu o neri sui lati corti, veniva posato sul capo e arrotolato o ricadente sulla nuca fino alle spalle in modo da incorniciare il viso.
Non del tutto scomparsi sono le Bende e i Benducci trecenteschi, ma più usati sono i Veli e Veletti, acconciature delle donne non più giovanissime, delle vedove e imposti alle monache. Non mancano cappelli di paglia, cappucci, berrette di lana, reticelle d’oro, lenze, frenelli.
Decorazioni
Tanto ai vestiti femminili quanto a quelli maschili aggiungono eleganza i ricami, le frange i fiocchi, e vari tipi di decorazioni. Tra tutte spiccano le Affrappature, ossia i frastagli che ornavano le maniche e le orlature degli abiti sia maschili che femminili: erano di gran moda nella prima metà del ‘400 e richiedevano una certa esperienza nella realizzazione, l’arte degli “Affrappatori, artigiani abili nell’intagliare i pregiati panni fiorentini.
L’ornamento più bizzarro di tutto il secolo è costituito dai campanelli d’argento attaccati all’orlo delle vesti alla moresca che si indossavano per ballare questa danza. Erano portati però anche come ornamenti sulle vesti eleganti, attaccati a nastri che si incrociavano sul petto. A Bologna nel 1442 Lena Fantuzzi, che va in sposa ad Antonio Sanuti, riceve in dono dal suocero, insieme a preziosi gioielli una veste morello ricamata d’argento e ornata da campanelli.
Altri ornamenti che fanno aumentare il valore degli abiti sono le Stampe (piccole figure d’oro e d’argento). Negli ultimi decenni del secolo fecero la loro comparsa le Tarnete (trine).
Calzature
Nel corso del ‘400 le calzature alla poulaine scompaiono, ma le scarpe mantengono fino alla fine del secolo una forma leggermente appuntita, senza le esagerazioni trecentesche. Troviamo scarpe basse, di stoffa o di pelle morbida.
Con le scarpette leggere si indossavano le Pianelle. o Calcagnini. Le pianelle femminili erano a volte tutt’altro che piane, bensì autentici trampoli, criticati dai moralisti e dai medici, essendo per la loro altezza causa di pericolose cadute. Per essere lecite, dovevano avere un’altezza appena sufficiente a riparare le scarpe dal fango, invece raggiungevano altezze incredibili, fino a cinquanta centimetri. Al museo Correr sono conservati due splendidi esemplari risalenti alla seconda metà del ‘400, la loro stupefacente altezza è di cinquanta centimetri in un caso e cinquantadue nell’altro.
Gli zoccoli, usati sia dagli uomini che dalle donne, erano invece molto più bassi con suola di legno, a volte sagomata al centro per evitare l’effetto ventosa nel fango. Venivano usati non solo nelle campagne, ma anche in città per proteggere le scarpe dal fango e dalla sporcizia delle strade. Per alcune donne gli zoccoli erano un obbligo. Una legge suntuaria fiorentina del 1464 vietava alle abitanti del contado fiorentino di portare calze solate e pianelle ma imponeva solo zoccoli con ghighe nere. in Sicilia alle meretrici venne imposto l’uso di particolari zoccoli definiti ”Tappini”.
Per Stivalli si intendeva definire un tipo di calzatura che arrivava al ginocchio; molto eleganti ,comuni intorno alla metà del ‘400 erano invece i Cossali, stivali prettamente maschili (mai una donna avrebbe indossato una cosa del genere) che salivano fino a metà coscia.Le calzature più fini erano di cuoio cordovano.